Un mondo affascinante, dal passato talvolta controverso, quello che ruota intorno al cacao, alla sua coltivazione e all’impatto sulle popolazioni dei Paesi ricchi di piantagioni. Un intrigante viaggio dalla cabossa al cioccolato, passando per colture, climi, tostature, lavorazioni e, soprattutto, sempre maggiore attenzione e rispetto per le persone coinvolte.
L’universo che si cela in un assaggio di cioccolato porta con sé un insieme straordinario di elementi dalle mille sfaccettature. Per scoprire i segreti del “cibo degli dèi”, siamo stati nel cuore di Milano, a due passi dalle Colonne di San Lorenzo in un’ex scuderia del ‘700, a parlare con un esperto del settore e conoscere i passaggi che rendono unico questo prodotto, immergendoci in aspetti sociali, culturali, tecnici e sensoriali. La Fabbrica del Cioccolato di Enrico Rizzi – inaugurata a dicembre del 2024 – è uno tra i pochi laboratori Bean to Bar in Italia – meno dell’1% nel nostro Paese, infatti, predilige questo procedimento, rispetto a chi sceglie di lavorare con cioccolato prodotto da terzi – ed è il primo Bean to Bar nato a Milano.
foto Guido Valdata
Oggi, con una produzione di circa 8-10 tonnellate di cioccolato all’anno, la Fabbrica del Cioccolato consente a Enrico Rizzi di essere completamente autosufficiente nella produzione di materia prima alla base delle sue creazioni nella vicina Boutique in Cesare Correnti. Ma la storia comincia altrove…
Indonesia, Vietnam, Perù, Venezuela, Guatemala, Madagascar, India, Etiopia, Belize, per citarne solo alcuni: Jules Verne lo definirebbe un attuale “Giro del mondo in 80 giorni”, per noi è stato un “Giro del mondo in tavolette”, pur restando a Milano.
«Ho contatti diretti con le famiglie che hanno le piantagioni e una fitta rete di distributori che mi segnalano fave in arrivo o a cui mi rivolgo con richieste specifiche di cacao di mio interesse. Questo mi permette di avere oggi circa 30 varietà da promuovere, far conoscere nelle loro caratteristiche e divertirmi a intrecciare e lavorare per creare blend unici»
enrico rizzi
Le origini della pianta Theobroma Cacao L., classificata dal botanico svedese Linneo nel 1700, riconducono a Venezuela e Brasile. Oggi, invece, le piantagioni di cacao abbracciano tutto l’Equatore. È in un’area che copre tre continenti e una fascia compresa tra latitudini +18° a Nord e -15° a Sud dalla linea equatoriale che Enrico Rizzi, maestro del cioccolato, concentra la sua attenzione per selezionare piantagioni di pregiati cacao. La scelta è fatta sulle tipologie di fave e sul clima che rende unica una varietà dall’altra, e, non da meno, sul voler prediligere piccole o medie coltivazioni, e cooperative o realtà lavorative artigianali. Una decisione, quindi, anche a supporto del recupero di piantagioni in stato di abbandono, com’è accaduto in Venezuela, Colombia, Costa d’Avorio e Ghana, e a sostegno delle comunità locali, del lavoro dei contadini – oggi maggiormente remunerato – e del miglioramento delle condizioni sociali delle persone coinvolte. L’esperienza immersiva che si vive nella Fabbrica del Cioccolato fa viaggiare in un tour virtuale in Perù tra frutti, sorrisi e persone che ogni giorno contribuiscono alla cura delle piantagioni.
Le piante di cacao
Come vino, miele e altri ingredienti che arrivano a noi dalla lavorazione della terra, così anche le fave del cacao e, dopo vari processi, il cioccolato stesso con le sue sfumature, le sue note, i suoi tratti caratteristici, sono strettamente legati a clima, posizione geografica, suolo, ecosistema circostante e a fenomeni atmosferici sempre più frequenti, come siccità o forti piogge.
Dai rigogliosi fiori della pianta di cacao crescono le cabosse: dal giallo al rosso, dal verde all’arancione a seconda delle varietà della pianta, questi preziosi frutti vengono raccolti due volte all’anno, tendenzialmente da ottobre a giugno.
Dal frutto alle fave di cacao
Le cabosse vengono raccolte a mano da parte di esperti che ne comprendono il grado di perfetta maturazione: frutti acerbi darebbero, infatti, fave troppo acide; frutti eccessivamente maturi potrebbero dare fave propense alla germinazione e quindi non utilizzabili per la lavorazione.
Dopo qualche giorno dalla raccolta, le cabosse vengono aperte: al loro interno una mucillagine lattiginosa protegge le preziose fave di cacao che, ripulite grossolanamente, passano alla fermentazione in casse di legno, in cui sostano da 3 a 10 giorni, a seconda del clima e dell’umidità, movimentate spesso a mano per far sì che si ripuliscano completamente dalla mucillagine. Passato questo periodo, le fave essiccano all’aria aperta su grandi telai al sole, se le condizioni climatiche lo consentono, oppure in camere di essiccazione ad aria calda. Dopo questo procedimento che dura dai 4 ai 15 giorni, a seconda della varietà, le fave hanno perso circa il 92% dell’acqua contenuta al loro interno alla raccolta e sono adatte al trasporto senza rischio di deterioramento.
Sacchi di juta grezzi – o internamente rivestiti di plastica, per le coltivazioni che garantiscono standard igienico-sanitari adatti anche alla lavorazione a crudo del cioccolato “raw” – accolgono circa 20Kg ciascuno di fave, pronte per la spedizione.
E una volta giunte a Milano?
Le fave che arrivano nel laboratorio di Enrico Rizzi vengono posizionate su un piccolo nastro trasportatore, realizzato ad hoc per Enrico, dal quale un addetto seleziona a mano, con mosse precise e occhio attento, quelle adatte alle successive fasi di lavorazione. Non è insolito trovare nei sacchi di juta piccole impurità, fave doppie o eccessivamente essiccate: rimosse, garantiscono che l’elevato standard qualitativo del cioccolato prodotto resti costante.
foto Guido Valdata
Quelle selezionate passano al delicato procedimento della tostatura che Enrico Rizzi affida a una macchina a induzione – pertanto a ridotto impatto ambientale – prodotta da un’impresa di Torino che l’ha riadattata alle esigenze di tostatura che lo stesso Enrico ha richiesto. Qui temperatura e tempo di tostatura – tra i 10 e i 30 minuti – variano a seconda della varietà di fave, ma sempre con il medesimo obiettivo: esaltare e valorizzare le note intrinseche delle singole origini.
foto Guido Valdata
«Il mio compito è farmi interprete delle caratteristiche delle fave. Ci sono ricette in cui scelgo in prima persona le note da far spiccare: si tratta del cioccolato che autoproduco per le successive lavorazioni di dolci e gelati in Boutique, e per cui ho creato delle cuvée unendo varie monorigini, a seconda del risultato che volevo ottenere, come si fa con lo Champagne. Ma sul monorigine in purezza, il mio compito è solo ascoltare le note preponderanti delle fave e valorizzare la loro naturale unicità» spiega Enrico Rizzi.
Valorizzazione che avviene con una tostatura attenta e precisa, in cui la capacità di Enrico sta nel «percepire le note specifiche di una fava di cacao a seconda della varietà a cui appartiene, dell’annata – quando è stata raccolta, clima, piogge, sole – e della piantagione da cui arriva. Queste caratteristiche mi conducono a due decisioni di cui sono responsabile: la temperatura a cui tostare e la durata della tostatura». Con una tostatura a temperatura bassa, si esprimono meglio le note floreali; con una più alta, le note speziate.
Come si arriva al cioccolato?
Una volta raffreddate, le fave tostate passano in laboratorio in una macchina che, rompendole, genera la massa grassa – il burro di cacao, utile per lavorazioni di pasticceria e per la creazione effettiva del cioccolato – e la massa magra. In ottica di economia circolare e virtuosità ecosostenibile, gli scarti di questo passaggio trovano ampiamente uso in altre lavorazioni: esterne, se si tratta di realizzare carta o birra o per affinare formaggi; interne, proponendo un mix di bucce di fave di cacao – in vendita sia in laboratorio, che in boutique – con cui si può realizzare un infuso dissetante e goloso, che sprigiona aromi e proprietà benefiche del cacao in tutta la sua purezza. La Fabbrica del Cioccolato è sostenibile anche avendo abbattuto drasticamente l’utilizzo di plastica per confezioni, vendita e conservazione dei semilavorati.
Dal primo step in laboratorio deriva un prodotto dalla texture sabbiosa, simile a un gruè di cacao molto fine, che viene inserito in un mélangeur con rulli in granito, che lo lavora da un minimo di 48 ore fino anche a 6 giorni, tempo che permette al cioccolato di esprimersi al meglio rilasciando tutte le sue sfumature. Il Bean to Bar non ha nessuna fretta, i tempi di lavorazione sono circa dieci volte più lunghi di una lavorazione industriale con sfere in acciaio – che avviene con un procedimento che dura in media tre ore. Qui, invece, i tempi dilatati e il granito, stressando meno il composto, permettono che il cacao rilasci tutta la sua profondità di note sensoriali. Ne esce una massa che, conservata sottovuoto a forma di lingotto, viene stoccata in un caveau a una temperatura costante intorno ai 18°C. Ciascun “lingotto” riporta lotto, data, provenienza e piantagione per una precisa e affidabile tracciabilità.
foto Guido Valdata
Il burro di cacao, in quanto grasso, assorbe molto bene i profumi: ecco perché i lingotti vengono sigillati sottovuoto, in modo che una varietà non “contamini” l’altra con le proprie note qualitative. Il fatto però che sia un ottimo veicolo per assorbire sapori è fonte di interessanti esperimenti che Enrico Rizzi e il suo team stanno svolgendo all’interno del caveau: vasi di vetro custodiscono, infatti, varietà di tavolette di cioccolato al 72% che stanno affinando da circa 6 mesi, alcune immerse in foglie di affumicato tè Lapsang; altre in pepe rosa; altre ancora in noce moscata o in fruttato rooibos per acquisirne i sentori e realizzare così un cioccolato aromatizzato con note a rinforzo di quelle già tipicamente caratterizzanti le singole varietà.
foto Guido Valdata
Le masse in lingotti sostano nel caveau fino a quando saranno pronte per essere lavorate nel passo successivo.
«Per stabilire la percentuale di massa di cacao da introdurre nelle mie ricette, mi affido sempre a quanto è alto il “tono di voce” del cioccolato: un cioccolato che ha un suo carattere marcato verrà utilizzato in percentuale inferiore nella ricetta finale; mentre sarà più alta la percentuale di una massa che ha note più delicate. Questo per dare un equilibrio tra il 68% e il 78% sulla linea delle 30 tavolette monorigine che oggi produciamo per la vendita e mantenere una certa linearità». Linearità e trasparenza che emergono ben chiare anche dalle etichette che riportano le precise percentuali di ingredienti.
Una macchina temperatrice, con un equilibrio di temperature ottimali, lavora sulla struttura del burro di cacao presente nella massa che assume così una forma cristallina stabile (precristallizzazione), donando al cioccolato la caratteristica lucentezza e croccantezza quando si spezza. A seconda, inoltre, della percentuale di burro di cacao presente in ogni ricetta, si otterranno cioccolati adatti a differenti lavorazioni: con più massa grassa, si può plasmare meglio il cioccolato anche in forme geometriche precise; con meno burro di cacao, si ottiene un prodotto più indicato per la degustazione in tavoletta.
Con il cioccolato fuso temperato vengono riempiti gli stampi e lasciati per circa 20 minuti in un macchinario che addensa il cioccolato, raffreddandolo.
La degustazione
È il momento in cui il cioccolato può essere assaporato in tutte le sue note aromatiche, di sentori di frutta fresca e secca, di fiori, piante, spezie o cuoio: ciascuno con le sue caratteristiche, ciascuno con la sua inimitabile unicità. Un prodotto che non va trangugiato, ma degustato. Lentamente, a piccoli assaggi, con gli occhi chiusi, facendo sciogliere sulla lingua quel quadratino di cibo paradisiaco che racconta una storia di persone, gesti, amore, attenzione, profumi e sapori in un mix a sé.
Come tutti i prodotti realizzati con cura e come sostengo sempre: mangiamone meno, ma di maggiore qualità.
Ah, e guai a chi, una volta portati a casa questi piccoli rettangoli di puro godimento, osasse conservarli in frigorifero: il cioccolato ha bisogno di temperatura ambiente media per sprigionare tutto il suo meglio e conquistare sorprendendo, come solo lui sa fare.
Ai curiosi amanti intenditori non resta che visitare la Fabbrica del Cioccolato: Enrico e la sua squadra saranno entusiasti di condividere segreti, curiosità, racconti e sensazioni a chiunque abbia voglia di immergersi in questo universo così goloso e affascinante.
Info utili: Fabbrica del Cioccolato – Via Gian Giacomo Mora, 18 – Milano. Per visitare il laboratorio, scoprire i segreti del cioccolato, vivere un’esperienza immersiva in una piantagione in Perù e fare una degustazione guidata basta prenotarsi al loro sito.