Nel cuore di Borgomanero, a metà strada tra Arona e il Lago d’Orta, gu.stà.re Oltrecucina è il ristorante fine dining in cui la Chef Valentina Maioni e il Maître Manuel Ettoumi incarnano e fanno vivere a tutto tondo lo “stare bene a tavola”.
/gu.stà.re/ per la Treccani significa: Assaggiare di un cibo o di una bevanda quanto basta per sentirne il sapore e, in senso figurato, Provare intimo godimento, diletto e soddisfazione di qualche cosa.
Una definizione che prende sostanza e forma, in entrambe le sue sfaccettature, appena si varca la soglia di gu.stà.re Oltrecucina, il progetto di Valentina Maioni e Manuel Ettoumi – entrambi piemontesi, lei nata a Borgomanero, lui originario di Orta –, e si declina nelle pieghe di sensi – gusto, olfatto, vista, udito e tatto -; nonché nella piacevole continua percezione di sentirsi accolti e coccolati in ogni minimo dettaglio curato. Non solo, quindi, un approccio del “Gustare” a tavola, ma un’esperienza a tutto tondo, racchiusa anche in quell’“Oltrecucina”, che ben ammicca all’insieme di gesti, attenzione, dedizione, pazienza che ruota attorno a un piatto: dall’ideazione, alla preparazione, alla presentazione, fino all’assaggio e oltre.
Spesso, ci si sofferma poco a ragionare su come si gusti un piatto. Quale inconscio percorso si fa per arrivare ad assaporare ciò che viene proposto? Come arriva un piatto sulla tavola e come lo si approccia? E ancora, si considera mai quanto tutta l’esperienza a 360 gradi contribuisca a rendere memorabile una pietanza?
Da gu.stà.re Oltrecucina si rallentano i ritmi, ci si riappropria di tempo e spazio, e questo permette di soffermarsi quel tanto in più che basta a percepire l’universo sensoriale che accompagna la degustazione di un piatto e che ne racchiude la magia: il cibo, la mise-en-place, i colori, i suoni, le porcellane, il luogo, l’ambiente, i gesti, le preparazioni, la cordialità, i profumi – o l’assenza di essi – i tempi corretti, il tono di voce, l’atmosfera. Ogni elemento contribuisce a rendere piacevole e indimeticabile un’esperienza.
Se ci si fa caso, già prima di sedersi a tavola, ci si predispone a una certa rilassatezza o irrequietudine semplicemente da come si viene accolti in un ristorante. O ancora, i piatti si assaggiano innanzi tutto con la vista e con l’olfatto, contemplando bellezza estetica, colori, contrasti, proporzioni nel piatto e profumi che sprigionano e fanno venire l’acquolina: è solo un piccolo esempio di come una creazione culinaria, in realtà, sia vissuta e assaporata, ancor prima di essere effettivamente assaggiata.
Sono questi i dettagli a cui Valentina e Manuel prestano attenzione in modo metodico, razionale, preciso con l’unico obiettivo di far stare bene i propri ospiti: atmosfera elegante, ma rilassata e riservata; 45 coperti, tovaglie impeccabili, tavoli ben distanziati ma, al contempo, parte integrante di una sobria convivialità di tutta la sala; continua coccola in benvenuto e gesti pronti, ma discreti; ogni elemento curato e mai lasciato al caso.
Una danza leggiadra, sincronica e comunicativa quella che avviene tra la sala – capitanata da Manuel, formazione alberghiera, poi esperienze tra cui il Joia di Milano, ora attento Maître dai preziosi consigli – e la cucina – in cui Valentina, Chef con formazione in alta cucina ed esperienze pregresse in altre realtà, e la sua squadra curano equilibri, materia prima e sapori, amando la libertà di sperimentare.
Piatti che narrano di territorio, di Piemonte, di gesti ed emozioni, di ricordi d’infanzia, di storie intrecciate da condividere con gli ospiti, di tecniche affinate, di esperienze approfondite, e di abbinamenti che ravvivano e modernizzano la cucina della tradizione.
Una cucina italiana contemporanea, in cui vigono stagionalità, rispetto per l’ingrediente, tecniche per la sua valorizzazione, esaltazione di sapori, accostamenti di colori e consistenze, e una naturale predisposizione a equilibri dai sapori mirati, precisi, rimarcabili. È così nei Cappellacci in cui la pasta fresca cela un ripieno cacio e pepe che, con chips di pancetta ossolana, rilasciano una prorompente sapidità che viene subito coccolata dalla dolcezza della crema di piselli e dalla polvere di fiori di zucca.
Una cucina di sostanza, in cui gli elementi base, dalla pasta fresca al dolce, vengono prodotti internamente. Accade per il pane di grani e mix di semi, servito tiepido, a cui viene abbinato un burro di Normandia montato e leggermente salato, e per gli amuse bouche – gnocco fritto e culatta; pan brioche con battuta di Fassona, senape in grani e bottarga di tuorlo sotto sale; cannoncini di farina di mais con ripieno di gorgonzola e noci tostate all’esterno; “fiori” di sablé alla nocciola alla base, panna cotta ai tre latti e petalo di barbabietola.
Una cucina di tradizione attualizzata, in cui ritrovare i sapori noti realizzati con maggiore leggiadria, delicatezza e raffinatezza, come nella Pasqualina, che per l’occasione si spoglia della veste casalinga e si trasforma in un piccolo fiore monoporzione di friabile pasta brisé che racchiude il più consueto ripieno di spinaci, erbette, ricotta e uovo, e che si adagia su una leggera fonduta di Parmigiano Reggiano.
La stessa filosofia di alleggerire e armonizzare i piatti della tradizione, pur mantenendone inalterati i sapori, emerge anche nel Maialino servito con jus al miele, cavolo nero, patate pavé e salsa bernese.
Una cucina elegante e, al tempo stesso, divertente, giocosa e gioiosa, quando compaiono Pomodori ciliegino tra gli amuse bouche – intrigante ripieno di panzanella alla toscana, dalla nota acidula, avvolto da una gelatina al pomodoro e completato con un vero picciolo, per ricreare un effetto più realistico – o quando compare il dessert, che per il pranzo di Pasqua diventa un Uovo dal guscio di burro di cacao che racchiude una bavarese alla ricotta di bufala e cioccolato bianco, con un “tuorlo” di gelée al frutto della passione. Il tutto adagiato su un “nido” di pasta kataifi leggermente caramellata e un “terra” di crumble al cacao amaro. Anche le Arachidi, che arrivano appena prima del caffè, sono un omaggio al lato giocoso, al binomio sostanza-apparenza, al lato intrigante della cucina e del divertimento nel goderne, con guscio di burro di cacao e ripieno marcato di crema di noccioline tostate: sembrano, non sono, ma sanno.
Da gu.stà.re Oltrecucina ci si risintonizza su tempi e spazi, godendosi momenti di relax per liberare la mente dal frastuono quotidiano delle distrazioni e concentrarsi sul piacere di gustare. È nell’assenza di fretta che ci si può soffermare sui dettagli, apprezzandoli; è nella corretta quiete che ci si permette il lusso di abbandonarsi a sfumature impercettibili, altrimenti perdute; è nell’accoglienza riservata che ci si perde nell’assaporare sfumature, godere di ritmi dilatati in modo piacevolmente scadenzato e deliziare tutti i sensi.
Assaporare qualcosa, come accennato, non è mai solo una questione di cibo e del puro atto di mangiare: c’è un universo di gesti, profumi, percezioni, sensazioni che spianano la strada, predispongono all’assaggio, restano al suo termine e che, come in un teatro, aprono il sipario, svelano la scena e lo richiudono a fine spettacolo.
Se si cerca questa rotondità di percezioni, gu.stà.re Oltrecucina è il luogo in cui assaporare l’esperienza nella sua completa, appagante totalità.
Solo a una cosa non sono arrivati, come giusto che sia: alla perfetta compagnia, con cui condividere queste sensazioni pacate, ma memorabili, dovete pensare voi. Una volta scelta quella giusta, non resta che accomodarsi: a farvi stare bene, ci pensano Valentina e Manuel, e il loro prezioso staff.