Valorizzazione della materia prima, creazioni che variano al variare del mercato, elevazione dell’ingrediente nella sua naturale e semplice complessità di sapori e consistenze: questa la filosofia alla base della proposta della cucina dell’Executive Chef Enrico Ferrari.
Si è sempre più alla ricerca di appaganti colpi di scena, sovrastrutture e prodezze culinarie, che peccano alle volte di eccentricità.
Quando si trovano lato estetico, delicatezza di gesti, precisione tecnica, rispetto per l’ingrediente, cucina stagionale e rombanti sapori è dove mi diverto davvero.
La cucina dello Chef Enrico Ferrari è proprio questo: un perfetto insieme di gentili ma precisi e concisi gesti, dritti al punto, che mirano a smuovere tutti i sensi e aprire varchi su distese primaverili, come occhi curiosi che spaziano su prati in fiore e ne colgono ogni dettaglio, ogni piccolo particolare, assimilandolo.
Dopo esperienze all’estero, la più recente a Losanna, Enrico Ferrari approda come Executive Chef di Raw, recente apertura in zona Porta Romana a Milano.
L’impronta è ben chiara: si punta a una cucina di mercato, tanto che il menu del pranzo cambia, infatti, ogni settimana, con un’indole elegante e tanto delicata in gesti, quanto diretta e schietta in sapori.
Indole ribadita a cena, momento in cui il menu alla carta racconta un insieme ben congeniato di proposte “iconiche” dello chef, tra cui l’Uovo – tuorlo, spuma al pecorino, guanciale e pane al pepe tostato: una sorta di richiamo alla “Carbonara” in versione entrée – e piatti che variano con la stagionalità, come la fresca, primaverile, accattivante e allegra Vignarola – piselli, fave e punte di asparagi fanno da verde collina dalle linee morbide, su cui si adagiano fiori eduli e una quenelle di sorbetto di piselli, cipollotto e menta, servito alla perfetta temperatura: rinfrescante quanto basta per essere piacevole senza che eccessivo freddo impedisca al palato di sentire appieno anche la più piccola varietà di sapori e consistenze presenti.
Oltre alla carta, tre menu degustazione permettono la scelta di un percorso più completo: Raw – la proposta che racchiude gli iconici dello Chef e della filosofia del luogo; Libera-mente – il sentiero da sei portate da percorrere affidandosi completamente a Enrico Ferrari e alla sua cucina; Carpe Diem – il menu che “coglie l’attimo” perché quello in cui piatti cambiano più di frequente, nonché la proposta per cui abbiamo optato noi.
Un susseguirsi di colori allegri, intensi e ben studiati, a cominciare dalla sopracitata Vignarola, catapulta nella Pizzaiola: straccetti di diaframma di vacca galiziana – con olive nere e capperi, come più tipica espressione della ricetta tradizionale – incontrano un guizzo di freschezza e dolcezza nella scelta di usare fragole al posto del consueto pomodoro. La polvere di origano arriva poi a ripulire il palato dalla complessità del taglio di carne, millimetricamente gestito.
E poi loro. Verdi lucenti, allegre, invitanti: le Trenette, realizzate dallo Chef con aglio orsino nell’impasto, sono un inno alla primavera e, personalmente, il piatto che tornerei a gustare mille altre volte. Una creazione che sprigiona profumo di aglio, più intenso all’olfatto, più leggero al gusto, com’è consuetudine di questa pianta spontanea. La pasta è porosa, ruvida, grezza, dal meraviglioso spessore e con la perfetta cottura: esattamente come deve essere per poter raccogliere e veicolare al morso pesto di aglio orsino, piccole carnose vongole, acetosella e fiori di cipolline con cui è condita.
Il Carciofo alla brace è un gioco più divertente, è una piccola matrioska di sapori. Chi mi conosce sa che, quand’anche dovessi tacere a parole, la mia faccia parlerebbe comunque per me. È quello che è successo quando ho assaggiato questo carciofo, che per un attimo mi ha fatta fermare, per poi sorridere, piacevolmente colpita.
Cuore di carciofo alla brace, spuma di caprino, sciroppo d’acero, crema di gambi di carciofo e aglio nero – che con la sua sapidità ben calibra la dolcezza dello sciroppo – e, a chiudere, foglie di menta e gel al bergamotto. Un mix che fa dimenare il palato in una danza a ritmo primordiale e che si sposa alla perfezione con i lievitati – focaccia con cipolle stufate e pane sfornato servito tiepido – e con i grissini di farina di mais tirati a mano: il tutto realizzato internamente.
Poi arriva la mano di Alessia Pulcini, Pastry Chef, che chiude in bellezza – e ulteriore bontà – il percorso.
La Frolla con grano cotto, crema di ricotta di capra ai fiori d’arancio, fragoline di bosco, quenelle di sorbetto alle fragoline di bosco e leggero biscotto al miele è un ulteriore risveglio di sensazioni, proprio come la primavera risveglia piano piano la Natura.
Il menu riconduce proprio al concetto di Natura, in tutta la sua complessa semplicità. Raw, del resto, significa crudo, poco raffinato, grezzo: concetto che si declina nell’approccio alla materia prima che viene il meno possibile intaccata, elaborata e lavorata.
La cucina è ben pensata, studiata, realizzata poggiando su accostamenti, sensi, termocezione e sapori puliti al palato. Alle volte più diretti, altre volte più giocosi, sempre pronti a risvegliare il palato per poi lasciarlo perfettamente pronto all’assaggio successivo.

L’ambiente, dai toni degli arrendi alla disposizione, predispone a una piacevole serata; la possibilità di accomodarsi nella wine room o allo chef table, per un’esperienza immersiva nella filosofia della cucina, è una scelta interessante.
Le linee dorate che impreziosiscono la wine room, con cantina a vista, richiamano le venature delle foglie che delineano una perfezione strutturale della Natura che l’uomo dovrebbe più spesso fermarsi ad ammirare, sentendosi piccolo di fronte a tanta precisione creativa.
L’identità del luogo è ben precisa e definita; l’identità della cucina ancora più chiara e lineare. Un mix che si alimenta a vicenda e sfocia oltremodo nel servizio in sala, attento, cordiale e preciso. Esattamente come la mano dello Chef. Esattamente come la chiara impronta degli ambienti raffinati.
Un bel progetto interessante che auspico mantenga salda la rotta della sua identità, senza perdersi in meandri da fuori pista che ne devierebbero questa rotta invece estremamente interessante e identitaria.